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Si dice che i Krug siano champagne estremi, nel senso che non conoscono vie di mezzo: o fanno impazzire, o non piacciono. Forse sarà pure
così, ma personalmente ritengo che i Krug siano un punto di arrivo. Per carità, capita di rimanere stregati sin dal primo sorso di Grande Cuvée, però
credo che solo dopo diverso tempo si arrivi a capire perfettamente cosa significhi Krug e, pertanto, ad apprezzare fino in fondo questi champagne. Oltre
il valore del nome, autentico mito per molti appassionati.
Henri Krug, quinta generazione della famiglia e responsabile della produzione dal 1962 al 2002, anche se poi ha continuato a collaborare con la maison fino al 2007. Papà di Olivier, purtroppo è scomparso nei mesi scorsi.
Bene, immaginiamo di poter spostare indietro le lancette dell’orologio di 34 anni e trovarsi a Reims nel cortile di Krug. È il 1979, un anno importante per
la maison: nasce un nuovo champagne, il terzo dopo quasi un secolo e mezzo di storia, il mitico Clos du Mesnil. Ma il 1979 è stato anche l’anno nel quale Henri Krug ha raccontato la maison di famiglia e la sua visione dello champagne. Eccone alcuni passaggi frutto di una mia piccola ricerca…
Vendemmia nel Clos du Mesnil. Nel 1979, nonostante tutto, il raccolto fu ottimo e in quell’occasione nacque il vino omonimo.
Ottobre 1979, con la sua Citroën DS, durante la vendemmia, Henri Krug gira la Champagne non solo per controllare i vigneti di proprietà, da Ay a Le-Mesnil, ma anche dei conferitori. Ad Ambonnay, ad esempio acquista uve a 9,41 Franchi/Kg, “18 centesimi più della scorsa vendemmia” sottolinea, mentre nel celeberrimo Clos nota con piacere che non c’è “nessun acino verde, nessun acino marcio, il che è un buon segno. E poi i grappoli sono davvero belli, solidi, ben sviluppati. Soprattutto, le uve sono perfettamente mature, mentre quanto all’acidità avremo una bella sorpresa. Insomma, ci sono le basi per fare un grande millesimato”.
Vorrei far notare che la vendemmia del 1979 fu piuttosto scarsa, come dirà Henri più avanti, ma all’interno delle mura del clos l’andamento è stato ben
diverso, proprio a sottolineare l’unicità, la straordinarietà del microclima di quel vigneto mitico.
La cassetta della prima annata in assoluto di Krug Clos du Mesnil.
Delle uve di Champagne, Henri spiega semplicemente: “il Pinot Noir è la struttura del vino, lo Chardonnay apporta leggerezza e freschezza, infine
abbiamo il Pinot Meunier, altra uva nera, che completa gradevolmente le qualità delle altre due con la sua fruttosità”.
La sera, a casa, come ogni anno Henri aprirà una bottiglia di Grande Cuvée per festeggiare l’inizio della vendemmia…
Da Krug per la fermentazione si usano storicamente le ‘pièces champenoises’, barrique da 205 litri realizzate con legno della foresta di Argonne.
La nascita di uno champagne Krug Dai pressoirs i mosti arrivano nella sede di Reims, dopo una dozzina di ore di debourbage, e Henri e suo padre Paul controllano i cantinieri che riempiono i fûts per la fermentazione. Nel 1843, Joseph Krug ripeteva a suo figlio Paul che “un buon vino nasce da
buone uve, buoni legni, una buona cantina e un uomo onesto a coordinare l’insieme”. E questo concetto Paul lo ripeteva a Joseph II, quindi questi a Paul II e a Henri. Pertanto, quest’ultimo sapeva già da giovane che lo champagne
che porta il nome della sua famiglia esige un profondo rispetto della tradizione
vinicola e della champenoise in particolare. Per la cronaca, oggi tutto
questo lo sa non meno bene anche suo figlio, Olivier…
Da Joseph a Olivier, dal fondatore all’ultima
generazione, di padre in figlio si sono sempre tramandati questo concetto: un
buon vino nasce da buone uve, buoni legni, una buona cantina e un uomo onesto a
coordinare l’insieme.
A proposito del legno, Henri spiega che “sin dall’antichità, l’uomo
ha sempre fatto coincidere, come due essenze complementari, il vino e il legno.
Ancora oggi, questa alleanza è necessaria per affinare le caratteristiche d’un
vino. Ma la qualità costa cara. Un fût nuovo costa tra i 600 e i 700 Franchi,
ma, per fortuna, la sua vita è lunga, dai 30 ai 40 anni. Per esempio, nel 1974
ho dismesso fûts del 1928, anche se i mastri bottai Jacques Gassin e Pierre
Kuraj non vorrebbero mai vederne morire uno…”.
Vorrei ricordare che in Krug per fût si intende la pièce
champenoise, quindi una barrique un po’ più piccola, da 205 litri, prodotta
esclusivamente con legno della foresta d’Argonne.
Una volta riempite, le pièces sono contraddistinte da
un codice di lettere e numeri per individuare il cru, la pressatura, il numero
di botti dello stesso lotto.
Ma torniamo alla nascita di un Krug. Una volta riempito, ogni fût è
marchiato con un codice di lettere e numeri (usato ancora oggi, anche se al
fianco di un più moderno codice a barre… N.d.A.) che permettono di identificare
ciascun vino fino al momento dell’assemblaggio. Le lettere, due, indicano il Cru
(ad esempio, VZ sta per Verzenay), mentre i numeri l’origine esatta delle uve,
il momento della pressatura e il numero di pièces riempite con quel
mosto. Il riempimento avviene per 4/5 (circa 160 litri) in modo da lasciare
spazio al gas prodotto durante la fermentazione, altrimenti le botti
scoppierebbero. Da quel momento, ogni mattina il capo cantiniere controlla la
temperatura (27°C) e, un mese dopo, il vino finalmente si rivelerà. A quel
punto, i cantinieri colmano i fûts con vini del medesimo lotto e Henri e
suo padre iniziano ad assaggiarli uno a uno per farsi un’idea della
vendemmia. A proposito di questa fase, Henri è categorico: “il nostro
credo in cantina è la selezione. E non abbiamo mai la tentazione di derogare: se
la materia prima (i vini) non ci convince, la rivendiamo e per quell’annata
produrremo meno. Semplicemente”.
Nel frattempo, le fecce si depositano per gravità sul fondo delle botti e i
cantinieri procedono con i travasi per mantenere i vini limpidi
(soutirage). In tutto questo periodo, la ‘part des anges’ (il vino
perso per evaporazione e assorbimento del legno) è pari al 4-5%.
Con l’arrivo dell’anno nuovo (1980), è ora di altre degustazioni, stavolta
più approfondite e non più in cantina, ma nella sala di degustazione. È
il momento, infatti, di stabilire quali vini saranno innanzitutto per la Grande
Cuvée, quindi quali saranno accantonati come vins de réserve e, infine ed
eventualmente, quali potrebbero dar vita a uno champagne millésime. Ma la
prima preoccupazione dei Krug è sempre la Grande Cuvée, a proposito della
quale Henri dice che “si compone non solo di vini dell’ultima vendemmia, ma
anche di vini di riserva, che conserviamo in tini di acciaio o in magnum anche
per dieci anni. Così, l’assemblaggio di vini giovani e di riserva permette di
avere un vino già maturo e l’intento è di mantenere in cantina uno stock di sei
anni. Pertanto, se in Champagne dovessero venir meno improvvisamente tutti i
vigneti, Krug potrebbe continuare a vendere per 6 anni come se nulla
fosse”.
Da questo passaggio si scopre l’interessante aspetto che non solo Bollinger,
ma anche Krug conservava i vins de réserve in magnum. Tutti fino
al 1960, quando acquistarono anche alcuni tini di acciaio da 40 hl per questo
scopo. Oggi i magnum non si usano più, ma solo l’acciaio e la cosa sembra
normale, ma all’epoca si trattò di un passaggio attentamente meditato: solo
quando furono sicuri del vantaggio in termini di qualità e solo di quello (i
vini mantenevano maggiore freschezza), i Krug decisero. Châpeau.
I fratelli Henri e Rémi Krug in una foto storica
ritratta in cantina.
Dopo la degustazione dei vini dell’ultima vendemmia, i Krug assaggiano
proprio quelli di riserva per verificarne lo stato e decidere se siano
pronti per la Grande Cuvée oppure debbano attendere ancora in cantina. In
proposito, Henri rivela il commento del padre Paul durante questa degustazione:
“la vendemmia ‘78 è stata una catastrofe dal punto di vista della quantità,
tanto che, per la prima volta, nell’assemblaggio della Grande Cuvée abbiamo
dovuto impiegare vins de réserve in proporzione maggioritaria. Però la vendemmia
è stata anche molto buona, con uve sane, mature, di ottimo contenuto zuccherino
ed elevata acidità. Ne dobbiamo tenere conto in questa degustazione e pertanto
considerare che solo una prossima vendemmia un po’ più abbondante di
quest’ultima ci potrà permettere di compensare questo ammanco di vini”. E
quel giorno vanno avanti: Ambonnay ‘73, Avize ‘71, Mesnil ‘68…
Rémi Krug, fratello di Henri e all’epoca una sorta di
responsabile marketing della maison, oltre che dell’accoglienza.
Assaggiati i vini tutti insieme, Paul, Rémi ed Henri, per quest’ultimo è il
momento di pensare agli assemblaggi. L’ora della verità è arrivata e un
assemblaggio è sempre diverso dall’altro, non avrà mai lo stesso numero di vini.
Pare che in Champagne girasse una vecchia regola sulla composizione di una cuvée
che recitava: più si aggiungono elementi di qualità, più ci si avvicina alla
tipologia Krug e alla tradizionale vinificazione champenoise. A proposito
dell’assemblaggio, ecco Henri: “non abbiamo ricette, lavoriamo come una
volta, con metodi collaudati. Non giochiamo a fare gli alchimisti, né i maghi,
ma per esperienza sappiamo in anticipo cosa sarà necessario fare. Prepariamo
diversi assemblaggi di prova, quindi altri che ci porteranno al vino che avevamo
immaginato, poi assaggiamo ed eventualmente apportiamo correzioni. Insomma,
facciamo la nostra piccola cucina. E, in teoria, non c’è nulla di
complicato”. Se lo dice lui…
Tra l’altro, a nessuno dei Krug, compreso Olivier oggi, sono mai piaciute le
domande troppo tecniche a proposito dei vini della maison. Addirittura
Rémi, persona di rara affabilità, ambasciatore di Krug nel mondo e
squisito ospite di chi visitava la maison, non voleva rispondere a chi chiedeva
percentuali dell’assemblaggio: “storia morta. Non esiste una ricetta e non ci
interessano le varietà, se non in termini di terroir. D’altronde, nessuno in un
concerto si sognerebbe mai di chiedere quanti violini stanno suonando,
giusto?”. Penso alla mia fissazione per gli assemblaggi, ma con Krug oramai
ho capito. Bene, andiamo avanti.
Il momento magico, il capolavoro: Henri Krug prepara l’assemblaggio.
Il primo assemblaggio a essere sviluppato è sempre quello della
Grande Cuvée, nella quale i vins de réserve quotano tra il 35 e il
50%. Siamo ad aprile e, deciso l’assemblaggio, non può mancare un’ultima
verifica da parte di Paul ed Henri (in quella primavera del 1980 fu rifatto
daccapo all’ultimo momento perché all’assaggio finale padre e figlio avevano
trovato uno dei vini dal gusto troppo pronunciato).
Quindi si chiarifica con
colla di pesce, materiale assolutamente naturale, come faceva il fondatore e,
finalmente, le botti iniziano a rotolare e i magnum a risalire dalla cantina per
riempire i 20.500 litri della cuve d’assemblage: Cumières, Ambonnay,
Vertus, Ay e Le-Mesnil, ‘71, ‘75, ‘77 e ‘78 si uniscono in un’armonia
spumeggiante.
Lo champagne Krug per eccellenza, l’evoluzione della
Cuvée N.1 di Joseph Krug, la Grande Cuvée, qui ritratta con l’habillage degli
anni ’80 e inizio ’90.
E si imbottiglia. Nel 1980 i formati erano solo tre, demi, bottiglia e
magnum, ma Henri ricorda che il padre produceva per alcuni amici anche qualche
jeroboam e mathusalem, formati altrimenti considerati ‘stravaganti’, ma
soprattutto “problematici perché difficili da gestire e, inoltre, il vino
perde freschezza. Semmai, meglio l’imperiale (imperial pint, quindi 0,568
litri), ideale per due persone, ma oramai scomparsa”.
Interessante scoprire cosa dice Henri a proposito delle bottiglie: “in
Champagne, le bottiglie sono prodotte dalla Saint Gobain. Le champagnotta è
speciale e questo perché è la stessa bottiglia a essere particolare:
contrariamente alle altre regioni vinicole, in Champagne la bottiglia è prima di
tutto uno strumento di lavoro e deve sopportare non solo 6 atmosfere di
pressione per un lungo periodo, ma anche parecchie manipolazioni, per questo
sono testate a una pressione di 12 Kg”. Da notare, poi, che all’epoca in
Krug si usavano due tappi, il primo de tirage e il secondo
d’expédition, pertanto in Krug la rifermentazione avveniva bouchon
liège.
Ora le bottiglie vanno in cantina per la rifermentazione e la maturazione. “Lo champagne non sarebbe potuto nascere in Champagne se non ci fosse stato
il suolo a base di craie – spiega Henri – che ha donato alle vigne
il loro spirito particolare e ha permesso di scavare ampie cantine sotterranee.
Paul Krug I acquistò il terreno oggi in rue de Coquebert nel 1870, quindi
addirittura 27 anni dopo la fondazione della maison. Le cantine furono
scavate a una profondità di 13 metri e numerate in modo da non perdersi, a
eccezione di quattro, battezzate Saint Joseph, Saint Paul, Saint Caroline e
Saint Henri, in memoria degli antenati scomparsi. Nel 1970 ne abbiamo inaugurata
una nuova, intitolata a Jospeh Krug. Nelle nostre cantine non ci sono treni
elettrici, né imponenti costruzioni, né vecchie pietre per impressionare i
turisti. D’altronde, le nostre visite non sono vistose: basta la vista
delle cataste di preziose bottiglie per soddisfare il vero appassionato”.
Capito? All’epoca, in queste cantine vi riposavano poco più di 3 milioni di
bottiglie, con la più vecchia datata 1893 e le più importanti del 1904 e del
1928, due grandi millesimi.
Bottiglie di champagne Krug in maturazione sur lattes
nelle cantine sotterranee di rue de Coquebert. Vi rimangono un minimo di sei
anni.
Ancora oggi questi vecchi Vintage sono lì e la produzione non è che sia poi cresciuta in maniera significativa. D’altronde, Krug non è per tutti…
Pazientemente, nel corso degli anni, nel buio e nel fresco di queste cantine,
gli champagne Krug formano il loro carattere unico. Ma qual è, oltre a profumi e
gusti figli di un assemblaggio armonico, il fattore che rende uno
champagne Krug unico? Per Henri, “la finezza della bollicina”. Ma
come è possibile che questa sia identica in ogni cuvée e in ogni anno? Risponde
ancora Henri, il perfezionista: “la prima fermentazione gioca certamente un
ruolo importante, ma qual è l’elemento veramente importante? La qualità dei vini
base? La scelta dei lieviti? Oppure la temperatura della seconda fermentazione?
Credo che più quest’ultima avvenga a bassa temperatura e più la bollicina
avrà persistenza e sarà molto fine”.
Ancora le cantine Krug: il fresco assicura una
bollicina straordinaria.
Mentre, a proposito della pazienza, è assolutamente rigoroso: “È
una questione di filosofia, di rispetto del prodotto. Attualmente siamo in piena
crescita, le vendite volano, e quest’anno, con una vendemmia catastrofica
(1979, N.d.A.), Rémi, che sa che il nostro stock ci permetterà di
soddisfare la domanda senza ritrovarci in difficoltà l’anno prossimo, non ne
approfitterà (alzando i prezzi, N.d.A), perché sarebbe poco lungimirante.
Certo, io potrei accelerare il ciclo del vino e mettere in commercio le
bottiglie prima del tempo, allora forse soltanto una decina di clienti se ne
lamenterebbero, visto anche il prezzo triplo di una bottiglia di Krug, però alla
fin fine tradiremo noi stessi. Questo perché rispettiamo assolutamente i tempi
della maturazione e perché Krug, più di qualsiasi altro champagne, può e deve
invecchiare ancora una volta dopo che è uscito dalle cantine e affinché giunga
al suo livello ottimale di qualità”. Sei mesi almeno e, comunque, prima
della spedizione Paul ed Henri assaggiano ancora a campione: “buon profumo,
dal bouquet ben sviluppato e fine. Bocca lunga, senza dubbio un buon
champagne…”. Buono? Accidenti, un Krug è la perfezione assoluta!
A proposito, la liqueur d’expédition è fatta unicamente di zucchero di canna e champagne di uno stesso assemblaggio, scelto di volta in volta da Paul
ed Henri secondo l’annata del vino sia della liqueur sia di quello che la riceverà. I Krug sono solo brut e per Henri la liqueur “rimuove
le durezze, arrotonda il gusto: è il tocco finale”.
Dopo il dosaggio, è la volta della tappatura definitiva e in Krug pure i tappi sono fondamentali, anche perché i loro clienti di solito fanno invecchiare
gli champagne per anni. Spariti i monoblocco (per Krug i migliori, ma tant’è), si usano quelli misti di agglomerato e due rondelle, che misurano 48 mm in
altezza per 32 di diametro.
L’attuale gamma Krug, con il nuovo habillage. Negli anni si sono aggiunti il Rosé e il Clos d’Ambonnay.
Siamo giunti alla fine di questo racconto che ci ha riportato a vivere la nascita degli champagne Krug più di trent’anni fa. Ritornerò ancora su Krug
presto per raccontare la vera storia della nascita di quella che oggi è la Grande Cuvée, ma non prima di aver risposto a una domanda fatidica: va bene, ma oggi?
Il management di Krug oggi: Olivier Krug, Margareth Henriquez ed Eric Lebel.
Sì, per un secolo e mezzo ogni Krug è stato una questione di famiglia, con due o tre generazioni a partecipare all’assemblaggio, ma negli ultimi anni le
cose non stanno più così. Almeno in teoria… Già, perché a garantire il marchio di famiglia c’è ancora un membro della famiglia Krug, Olivier, figlio di
Henri e letteralmente cresciuto respirando questo spirito di famiglia, oltre ad aver assaggiato e riassaggiato non solo con il papà, ma anche con il nonno Paul
II.
Poi, a capo dello staff tecnico, quindi come chef de cave, c’è Eric Lebel, persona seria, molto preparata e addirittura riservata. Prima lavorava in De Venoge e il suo ultimo assemblaggio è stato il 1996: assaggiate il Louis XV di quell’annata e poi ne riparliamo… A ogni modo, è stato per quasi
10 anni il braccio destro di Henri, quindi…
Infine, ma non ultima, c’è Margareth Henriquez, per gli amici Maggie, Presidente della maison dal 2008 dopo un’esperienza più che ventennale nel mondo del vino. Per Maggie questo incarico non è stato semplicemente un fatto di sedere su una poltrona di prestigio, ma un impegno preso in prima persona per mantenere intatto lo spirito Krug e, se possibile, perfino valorizzarlo di più. Avrò modo di parlare con Maggie di Krug, nel frattempo basti sapere che è stata una sua idea tirare fuori dalla cassaforte il libretto degli appunti di Jospeh Krug e far conoscere al mondo i suoi segreti…
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Qualche bottiglia interessante a prezzi modici, a meno di 10 euro
ROSSI
Cusumano Sàgana Nero D’avola 2010 IGT
Un grande rosso siciliano, 100% nero d’avola, che sprigiona i sentori della terra dalle note di cacao e di mora rossa matura. Un palato morbido, avvolgente, corposo, ricco di frutto. Accompagnatelo con sughi dai sapori forti e sapidi o con carni decise e ricche. Non vi deluderà.
Barone Pizzini Curtefranca Rosso 2011
La Lombardia dei Franciacorta regala anche degli ottimi vini rossi. Quelli di Barone Pizzini hanno inoltre una spinta naturale, biologica, che dà al vino vigore e sapore. In prevalenza Cabernet e Merlot, ricorda al naso frutti rossi e spezie, al palato elegante ma deciso, con nerbo e carattere per tenere a bada carni rosse, salumi e formaggi saporiti.
Casa vinicola Cecchi Vino Nobile di Montepulciano 2010
Prugnolo gentile, varietà meno nota della grande famiglia del Sangiovese. Un territorio particolarmente vocato. Questi gli ingredienti che Cecchi adopera per dare alla luce un grande rosso, aristocratico e gentile, complesso ed elegante, come un nobile sa essere. Accompagnerà egregiamente i vostri arrosti più saporiti.
BIANCHI
PievaltaVerdicchio Castelli Jesi Doc Classico Superiore 2012
Il verdicchio è un grande vitigno d’Italia. Qui Pievalta lo esalta al meglio, trattandolo con agricoltura biologica e tecniche di coltivazione biodinamica. E’ messo in bottiglia la primavera successiva alla vendemmia per esaltare la freschezza e le caratteristiche tipiche del vitigno. Antipasti e crudità di mare, insalate verdi, minestre con brodi di verdura.
Cantina Santa Maria La Palma Trìulas 2011
I sapori ed i profumi dello chardonnay conditi dal sole della pianura di Alghero. Giallo dai bei riflessi paglia il colore, naso fruttato tra mela matura e banana, al palato è fresco, giustamente sapido e piacevolmente persistente. Antipasti di mare, crostacei, paste bianche i suoi abbinamenti ideali.
Cantina Produttori di Cormòns Ribolla Gialla Doc 2012
Lavorano bene a Cormòns per preservare i valori e le espressioni dei vitigni nel territorio. E questa Ribolla gialla lo racconta bene. Paglierino il colore, floreale l’odore, di freschezza vivace con sentori di limone il sapore. Fate in modo che sia protagonista negli aperitivi, nei crudi di pesce, nei filetti e nei carpacci di salmone e trota salmonata.
Biancavigna Prosecco Brut
Un ottimo prosecco brut dal tenore zuccherino molto contenuto; si distingue per la sua finezza, eleganza, morbidezza ed ampiezza. Mela e frutta bianca al naso, in bocca è cremoso e piacevolmente fruttato. Accompagna ed arricchisce amuse bouche delicati della tradizione italiana di mare o di terra.
Cantine Florio Marsala Vecchioflorio Superiore Secco 2009
170 anni di esperienza, per raccontare e far vivere le emozioni che solo un vino liquoroso sa donare. Grillo e Cataratto i vitigni principe che, lavorati ad arte, conferiscono un colore ambrato con riflessi di oro antico, un profumo fine di uva passa e vaniglia, un sapore caldo, avvolgente, spesso, con finale di elegante persistenza zuccherina. Con pasticceria secca o semplicemente da meditazione.
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Più Bignè e meno Macaron
Quest'anno sarà l'anno del bignè e dell'enclair la versione più allungata del bignè sia in versione dolce che in versione salata con nuovi accostamenti di sapori, i pasticceri a Parigi fanno a gara per nuovi sapori che le utlime novità, sesamo e frutto della passione, pistacchio e lampone, al formaggio parmigiano, al tè verde.
Pollo e carni bianche
I consumi della carne di pollo e in generale delle carni bianche sono in salita il motivo è presto ben detto le carni di pollo costano dalle 4 euro al kg le carni vitello e manzo dalle 20 alle 30 euro al chilo. Di necessità virtù più che una svolta verso la salute.
Chi lo avrebbe detto qualche anno fa che perfino Mcdonald avrebbe proposto le ali di pollo nel suo menù?
Il pollo non è solo una proposta cheap, a buon mercato, nell'ultimo anno le carni bianche sono protagoniste dei menù di ristoranti di lusso dove viene abbinato al fois gras oppure cotto sottovuoto senza grassi con spezie e aromi
Il sapore amaro
Potrà sembrare strano perché molti si aspettavano che in tempo di crisi finanziaria si ricorrere al sapore dolce come sapore consolatorio e invece no predomina il sapore amaro, un sapore amaro verde comecavolo, cavoletti di bruxelles, cicoria, tarassaco, crescione, stanno avendo anche molta attenzione nell'industria alimentare l'utilizzo della mandorla amara e arancio amaro, per il cocktail "bitter" è l'aroma preferito, possiamo dire che aleggia un senso d'amarezza?
Pane
Qualcuno pensava che il pane non era più di moda, nonostante i panettieri affermano che non si vende più pane, aprono panetterie ad ogni angolo, certo non solo per il pane ma pizza focaccia e dolci. La dimensione del fenomeno lo dà la vendita delle macchine del pane + 20% un vero e proprio boom, che dire dei miei amici blog che fanno delle cose incredibili con il lievito madre (nomimarne uno è fare un torto a tutti gli altri, ma sono contento perchè sono un gruppo numeroso).
Di conseguenza più che la rinuncia al pane invece prevale il farselo da sé, secondo il proprio gusto, con mix di farine, pane con meno sale, pane senza glutine, pane con i semi di lino.
Questo non vuole dire che il pane non si vende ma che quello che si vende non è ciò che il consumatore si aspetta in termini di qualità e di gusto.
La rivalutazione del pane non si ferma qui, in un ottica di non sprecare nulla ma anche di piacere del gusto ricette a base di pane, insalata di pane, polpette di pane, gnocchi di pane, budino di pane, torta di pane.
Super alimenti : Riso Nero, Freekeh, Teff
Sicuramente lo scorso anno è stato l'anno della Quinoa, non ne avevo parlato bene della coltivazione della quinoa. Quali saranno nel 2014 i super alimenti' Ci sono più progetti internazionali che coinvolgono prodotti come riso nero, freekeh e teff , è possibile che prenderemo più confidenza con questi alimenti al momento poco noti.
Il riso nero non è il riso venere italiano cioè incrocio tra un riso asiatico e un riso europeo, si tratta di un antico riso che veniva riservato solo agli imperatori, il suo nome più comune è riso proibito, perchè era riservato in modo esclusivo all'imperatore, è un riso coltivato principalmente in Laos è utilizzato per preparare soprattutto dolci.
Freekeh, è un grano verde che viene coltivato nei paesi del Medio Oriente, viene raccolto prematuramente e tostato, ha un volore nutrizionale interessante, viene utilizzato come sostituto del cous cous o del riso. Un progetto della Fondazione Slow food si occupa della sua tutela e diffusione nel paese del Libano. Dal punto di vista nutrizionale il freekeh ha il doppio delle fibre del riso ed percentuali di calcio, ferro e zinco molto interessanti.
Teff, è un cereale delle regione etiope, sta acquisendo una nuova fama grazie al fatto che è privo di glutine, è adatto ad essere coltivato il terreno semiaridi, negli ultimi sono avviante con successo coltivazioni in India e Australia. si distingue per un discreto contenuto di calcio, ferro .