
Fermentazione deriva dal latino “fervere“, che significa bollire, e infatti la fermentazione del mosto è del tutto simile al sobbollimento di un liquido.
Il mosto, come del resto il vino, è una sostanza viva e, come tale, si muove, e la fermentazione alcolica è il processo attraverso il quale lo zucchero contenuto nell’uva, sotto forma di glucosio e fruttosio, in percentuale variante dal 15 al 30%, si trasforma in alcol etilico e anidride carbonica, mentre il succo d’uva si appresta a diventare vino.
Questo processo chimico è dovuto all’attività vitale di diversi microrganismi ed è caratterizzato dalla formazione di prodotti gassosi, come il biossido di carbonio, che provocano un’effervescenza più o meno marcata.
La fermentazione alcolica era nota e veniva utilizzata dall’uomo già in epoca preistorica, ma solo nel XVII secolo si cominciò a indagare la natura chimica del processo, attribuito in un primo momento a non precisati intermediari.
Un grande progresso nella conoscenza dei processi di fermentazione si ebbe in seguito alle ricerche di Louis Pasteur, il quale osservò che la fermentazione degli zuccheri può fornire, secondo la natura dei microrganismi che intervengono a produrla, l’alcol etìlico oppure altri acidi (acido lattico, butirrico, succinico, ecc.).
Quattro o cinque ore dopo la pigiatura dell’uva e il passaggio negli appositi contenitori (i tini in legno o le vasche di vario genere) comincia la fermentazione del mosto che, nel breve giro di 24 ore, diventa di carattere “tumultuoso”.
Questa fase, la principale, dura generalmente da 5 a 8 giorni, talvolta anche per un periodo superiore, a seconda del contenuto zuccherino del mosto, dei diversi tipi di lieviti che agiscono e della temperatura, che viene mantenuta tra i 20° e i 25° C e comunque non deve scendere sotto i 13 °C né deve superare i 40 °C.
La durata del processo fermentativo varia naturalmente soprattutto a seconda delle esigenze produttive.
I microrganismi fungini che sono in grado di provocare la fermentazione si trovano sullapruina degli acini e, coinvolti nella bollitura del mosto, trasformano lo zucchero in alcol etilico e anidride carbonica, determinando quindi la nascita del vino.
In certi casi, quando si intende regolarizzare la fermentazione, si aggiungono dei lieviti selezionati.
Ciò avviene specialmente quando si vogliono produrre vini base da avviare alla spumantizzazione sia in bottiglia sia in autoclave.
Il mosto non deve mai essere immesso nei contenitori in misura superiore al 70-75% del loro volume perché, quando la massa si riscalda e bolle, può anche straripare dal recipiente in cui viene compressa.
Il mosto è composto da una parte liquida e da una parte solida, le bucce e i vinaccioli: queste parti solide, avendo un peso specifico inferiore al liquido, tendono a salire in superficie e a separarsi.
La loro risalita è facilitata dall’anidride carbonica che rigonfia le bucce.
La vinaccia che risale in superficie prende il nome di “cappello” e in questo momento si rende necessaria un’operazione chiamata foliatura, che consiste nell’affondare la parte galleggiante per evitare il pericolo di un’acetificazione della superficie.
L’affondamento favorisce inoltre l’estrazione della materia colorante dalle bucce e arieggia il mosto, eliminando l’eccesso di anidride carbonica.
Per effettuare la vinificazione “a cappello sommerso“, ci si serve di bastoni muniti di pioli che si chiamano follatori, oppure si dispone sulla parte superiore del tino un graticcio di listelli di legno.
Nelle grandi vasche di fermentazione, si usa il sistema del “cappello emerso” perché i recipienti sono muniti di una copertura, chiamata falsofondo, che impedisce l’emersione del cappello in superficie e il contatto con l’aria.
La follatura va eseguita ogni 12 ore, per evitare probabili fenomeni di acidità e per impedire formazioni eccessive di anidride carbonica.
In linea di massima, prima di entrare nel locale dove avviene la fermentazione del mosto è bene accendere una candela, se la fiamma si spegne, significa che la percentuale di anidride carbonica è superiore a quella dell’ossigeno; c’è quindi il pericolo che la permenenza nell’ambiente provochi gravi sintorni di asfissia.
Da rilevare che nel corso della fermentazione porte e finestre della cantina sono tenute ben chiuse, in modo che dall’esterno entri il meno possibile di aria atmosferica.
Quando il mosto ha concluso il suo ciclo di fermentazione, trascorse 12 ore dall’ultima follatura, ha inizio l’operazione di svinatura.
Questa pratica enologica, principalmente prevista per la vinificazione in rosso, consiste nell’estrarre dai tini il vino appena fatto, per separarlo dalle parti solide e passarlo successivamente nelle botti.
Ultimata la svinatura del vino fiore, si procede alla spremitura o torchiatura delle vinacce.
Il vino della prima torchiatura, se ben limpido, può benissimo essere aggiunto al vino fiore.
Quello delle altre torchiature è molto meno pregiato, quindi va immesso in altro bottame o destinato ad altro uso.
Il mosto, come del resto il vino, è una sostanza viva e, come tale, si muove, e la fermentazione alcolica è il processo attraverso il quale lo zucchero contenuto nell’uva, sotto forma di glucosio e fruttosio, in percentuale variante dal 15 al 30%, si trasforma in alcol etilico e anidride carbonica, mentre il succo d’uva si appresta a diventare vino.
Questo processo chimico è dovuto all’attività vitale di diversi microrganismi ed è caratterizzato dalla formazione di prodotti gassosi, come il biossido di carbonio, che provocano un’effervescenza più o meno marcata.
La fermentazione alcolica era nota e veniva utilizzata dall’uomo già in epoca preistorica, ma solo nel XVII secolo si cominciò a indagare la natura chimica del processo, attribuito in un primo momento a non precisati intermediari.
Un grande progresso nella conoscenza dei processi di fermentazione si ebbe in seguito alle ricerche di Louis Pasteur, il quale osservò che la fermentazione degli zuccheri può fornire, secondo la natura dei microrganismi che intervengono a produrla, l’alcol etìlico oppure altri acidi (acido lattico, butirrico, succinico, ecc.).
Quattro o cinque ore dopo la pigiatura dell’uva e il passaggio negli appositi contenitori (i tini in legno o le vasche di vario genere) comincia la fermentazione del mosto che, nel breve giro di 24 ore, diventa di carattere “tumultuoso”.
Questa fase, la principale, dura generalmente da 5 a 8 giorni, talvolta anche per un periodo superiore, a seconda del contenuto zuccherino del mosto, dei diversi tipi di lieviti che agiscono e della temperatura, che viene mantenuta tra i 20° e i 25° C e comunque non deve scendere sotto i 13 °C né deve superare i 40 °C.
La durata del processo fermentativo varia naturalmente soprattutto a seconda delle esigenze produttive.
- se si intende vinificare in presenza delle vinacce e ottenere vini rosati, si interrompe il ciclo appena dopo 18-24 ore;
- se si desidera ottenere un vino non molto corposo, dì colore tenue, di gusto amabile e di non elevato tenore alcolico, la fermentazione va interrotta dopo 4-5 giorni;
- se si tende a produrre un vino di colore accentuato, solidamente strutturato e di elevata forza alcolica, si arriva a prolungare il ciclo della fermentazione fino a 18-22 giorni.
I microrganismi fungini che sono in grado di provocare la fermentazione si trovano sullapruina degli acini e, coinvolti nella bollitura del mosto, trasformano lo zucchero in alcol etilico e anidride carbonica, determinando quindi la nascita del vino.
In certi casi, quando si intende regolarizzare la fermentazione, si aggiungono dei lieviti selezionati.
Ciò avviene specialmente quando si vogliono produrre vini base da avviare alla spumantizzazione sia in bottiglia sia in autoclave.
Il mosto non deve mai essere immesso nei contenitori in misura superiore al 70-75% del loro volume perché, quando la massa si riscalda e bolle, può anche straripare dal recipiente in cui viene compressa.
Il mosto è composto da una parte liquida e da una parte solida, le bucce e i vinaccioli: queste parti solide, avendo un peso specifico inferiore al liquido, tendono a salire in superficie e a separarsi.
La loro risalita è facilitata dall’anidride carbonica che rigonfia le bucce.
La vinaccia che risale in superficie prende il nome di “cappello” e in questo momento si rende necessaria un’operazione chiamata foliatura, che consiste nell’affondare la parte galleggiante per evitare il pericolo di un’acetificazione della superficie.
L’affondamento favorisce inoltre l’estrazione della materia colorante dalle bucce e arieggia il mosto, eliminando l’eccesso di anidride carbonica.
Per effettuare la vinificazione “a cappello sommerso“, ci si serve di bastoni muniti di pioli che si chiamano follatori, oppure si dispone sulla parte superiore del tino un graticcio di listelli di legno.
Nelle grandi vasche di fermentazione, si usa il sistema del “cappello emerso” perché i recipienti sono muniti di una copertura, chiamata falsofondo, che impedisce l’emersione del cappello in superficie e il contatto con l’aria.
La follatura va eseguita ogni 12 ore, per evitare probabili fenomeni di acidità e per impedire formazioni eccessive di anidride carbonica.
In linea di massima, prima di entrare nel locale dove avviene la fermentazione del mosto è bene accendere una candela, se la fiamma si spegne, significa che la percentuale di anidride carbonica è superiore a quella dell’ossigeno; c’è quindi il pericolo che la permenenza nell’ambiente provochi gravi sintorni di asfissia.
Da rilevare che nel corso della fermentazione porte e finestre della cantina sono tenute ben chiuse, in modo che dall’esterno entri il meno possibile di aria atmosferica.
Quando il mosto ha concluso il suo ciclo di fermentazione, trascorse 12 ore dall’ultima follatura, ha inizio l’operazione di svinatura.
Questa pratica enologica, principalmente prevista per la vinificazione in rosso, consiste nell’estrarre dai tini il vino appena fatto, per separarlo dalle parti solide e passarlo successivamente nelle botti.
Ultimata la svinatura del vino fiore, si procede alla spremitura o torchiatura delle vinacce.
Il vino della prima torchiatura, se ben limpido, può benissimo essere aggiunto al vino fiore.
Quello delle altre torchiature è molto meno pregiato, quindi va immesso in altro bottame o destinato ad altro uso.